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Il Sultano e la Cicala

di e con I.Bertolini

scene Isacco Anfosso

suoni Erika Sciutto

Centoundicinuvole

di e con I.Bertolini

scene Isacco Anfosso

luci Erika Sciutto

Questo è un Uomo. Questa una Donna.

di I.Bertolini

da "Quattro ore nelle tenebre"

con I.Bertolini - Giuseppina Facco

scene Isacco Anfosso

luci Erika Sciutto

Quella di scipione Cicala è senza dubbio una vicenda strordinaria.

Egli infatti fu un marinaio genovese di nobile origine che assunse poi importanti incarichi militari e politici nell'Impero Ottomano operando anche come corsaro. Per quaranta giorni, dal 27 ottobre 1596 al 5 dicembre 1596, ricoprì anche la carica di Gran Visir sotto il regno di Maometto III.

Secondo notizie consolidate, Scipione Cicala era nato a Genova da una nobile ed antica famiglia viscomitale nel 1552. Secondo altre fonti, sarebbe però nato a Messina (o in Calabria da famiglia genovese. La Calabria lo vedrà comunque protagonista di una delle sue imprese corsare.

Suo padre, il visconte Cicala (o Cigala) sarebbe stato un corsaro al servizio della Spagna, mentre la madre sarebbe stata una turca montenegrina di Castelnuovo (l'attuale Herceg Novi). Il visconte e suo figlio furono presi prigionieri dalla marina Ottomana nel 1560  durante la battaglia di Djerba, e furono portati a İstanbul. Il padre fu in grado di pagare il riscatto e fu liberato, il figlio Scipione, invece, non fu liberato e gli fu posta l'alternativa di essere messo a morte, oppure di entrare nel corpo dei Giannizzeri . Scipione Cicala non ebbe naturalmente dubbi; abiurò il cristianesimo, abbracciò l'Islam (come era del resto richiesto) ed entrò nel famoso corpo militare ottomano.

Per una serie di roccambolesche avventure, intrighi, prodezze egli si ritrova a percorrere una carriera sempre più in ascesa. Da semplice ciambellano diviene in pochi anni Gran Visir dell’Impero Turco scatenando contro di sè sia le invidie della corona spagnola, sia di quella papale che degli stessi Turchi. Nonostante il carattere sanguinario e cruento ereditato dal padre, in Scipione matura il desiderio di rivedere la madre lasciata molti anni prima a Messina. Giunto al cospetto della genitrice si trova a dover fronteggiare con una serie di avversioni, prima tra tutti la differente religione che li separa in quanto entrambi convertiti a due religioni opposte: cristianesimo e Islam.

MONOLOGO TRAGICOMICO

DURATA 80 MINUTI

La memoria di un nonno tramandata alla nipote mai nata: così una tragedia prende la forma di ricordo personale e di sogno di vita troncato. Ian Bertolini è solo su una scena (di Isacco Anfosso) su cui si stagliano 12 tronchi (il numero degli sfiatatoi mai collaudati e non funzionanti della diga) posti ad anfiteatro intorno ad una

torretta, a simulare la forma della diga principale. Interpreta un nonno anziano dalle movenze lente e dalla memoria concentrata su particolari, ma anche tanti altri personaggi che animano una storia che dura anni, dal primo progetto del 1895 sino alla catastrofe.

In mezzo la grande guerra, con un soldato in trincea il cui pensiero va alla mamma e ai fratelli, e il ventennio fascista, con la campagna del grano e la celebrazione del genio italico. Proprio in questo periodo si situa la variazione del progetto della diga di Molare, spiegato teatralmente in un dialogo dove Bertolini, nelle vesti di un vanaglorioso e presupponente ing. Gianfranceschi, spiega al dubbioso amico e compositore Pietro Mascagni le forzature tecniche in nome della maggiore produzione di energia. La chiave è quella della sottolineatura caustica, mantenuta anche nei commenti scettici ma mirati di un turista romano, dalla parlata borgatara, in vacanza a Molare.

Colpisce l’organicità del racconto, il continuo cambio di punto di vista e di registro. La drammaticità sale al culmine nell’attimo del disastro vissuto dal custode della diga, in possesso di un unico interfono per dare un allarme ormai inutile, e si stempera nella malinconia onirica del ricordo di un amore spezzato dal fango.

Non è semplice raccontare un fatto drammatico, soprattutto senza cedere alla tentazione del realismo che assorbe la poesia. “Centoundici nuvole” è fedele alla realtà, ma è anche un testo lirico, rimanda all’intimità della memoria individuale e alla necessità di quella collettiva. Lirismo e realtà si fondono, come nel titolo, che si rivela manifesto dell’intenzione dell’autore. Le nuvole, ovvero il clima avverso, nel processo finale, furono ridicolmente le uniche vere accusate del fatto, ma sono anche immagine poetica che si stempera con l’accostamento al reale numero 111, quello delle vittime.

(recensione Radiogold)

MONOLOGO TRAGICO

DURATA 75 MINUTI

Produzioni

Monferrato, 1943. Lisa Finzi ed Enrico Levi, rispettivamente zii dello scenografo Lele Luzzati e dello scrittore Primo Levi, scappati da Genova allo scoppio della guerra, dopo la strage di Meina capiscono che i nazisti stanno arrivando ed è solo questione di tempo. Con una coppia di amici, i coniugi Soria, cercano disperatamente rifugio a presso un antico santuario, dove da qualche anno è approdato uno strano prete, don Luigi Mazzarello. Intelligente, affascinante e dal passato turbolento sui piroscafi dei migranti verso le Americhe, nel mezzo della guerra che infuria don Luigi riuscirà con abilità a resistere alle intimidazioni dei nazifascisti e alle pressioni dei suoi superiori, aiutando i partigiani e salvando la vita dei suoi protetti ebrei.

TRAGEDIA 

DURATA 75  MINUTI

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